Episodio che non
lascia nulla e non aggiunge nulla ne alla serie ne ai personaggi. Un episodio
di un qualsiasi procedurale, che può starci, ma io ormai mi aspetto molto da Person of Interest, anche quando mette in scena il singolo episodio verticale.
L’ennesima
riproposizione del dramma shakespeariano di Romeo e Giulietta – o se vogliamo
de La Bella e la Bestia – ambientata in quelli di New York e con protagonisti
una giovane e affascinante cameriera, e un sicario spietato della mafia
irlandese, che nell’appena citata cameriera vede una nuova ragione di vita.
A
salvare l’episodio dall’insufficienza è il ritorno di Elias – che avevamo
lasciato vari episodi prima del season finale della stagione passata – che è
ancora ospite del carcere di Rikers, ma sembra non aver perso ne smalto ne
potere. E il ritorno del nostro boss preferito, rappresenta anche il principio
di una strana, ma oltremodo affascinante, interazione, tra lui e il nostro
Harold. E le partite a scacchi – che sono il prezzo richiesto da Elias, per l’aiuto
offerto ai nostri per risolvere il caso – faranno da sfondo a quelle che si
prospettano essere conversazioni e confronti veramente interessanti, tra due
personaggi che seppur opposti nei modi e nei pensieri mostrano anche molte
similitudini.
Però, la cosa peggiore
è che quanto visto qui, va a sporcare il meraviglioso contrappunto che
caratterizza l’episodio 2x02 Bad Code. Perché Harold, che definisce
inizialmente l’assassino – che John sta cercando di proteggere – bad code, cioè
usa le stesse parole utilizzate da Root per definire l’intero genere umano, per poi
correggersi sul finale, dicendo che le persone al contrario delle macchine
possono cambiare, possono evolvere, rappresenta una ridondanza inutile, un
didascalismo superfluo, che inevitabilmente, come ho detto, sporca e minimizza
la meravigliosa contrapposizione vista appunto nell’episodio Bad Code. Perché,
che Root si sbagliasse e che non tutte le persone sono bad code, e possono
cambiare, migliorarsi e fare del bene, era stato sottolineato – con forza
poetica direi – proprio dalle parole che lo stesso Harold dice a Root quando
finalmente John riesce a rintracciarli: “lui è l’esempio che ti sbagli”. E per
questo quindi possiamo dire che, il messaggio o spunto che l’episodio trasmette
alla fine, è solo un allungamento del brodo, una ripetizione, molto meno
elegante, di quanto già espresso nell’episodio passato.
E sta cominciando ad
infastidirmi il modo in cui gli autori stanno utilizzando Fusco. Dal primo episodio
di questa seconda stagione sono tornati a trattarlo come agli esordi della
serie, rilegandolo alla parte di semplice spalla comica, facendo un brutto
passo indietro rispetto al crescendo che il personaggio ha avuto durante le
fasi finali della passata stagione. Mentre sembrano decisi ad investire ancor
di più sul personaggio della detective Carter. Personalmente lo ritengo un
investimento narrativo non tanto azzeccato, ma soprattutto non tanto
coraggioso, perché il personaggio, seppur interpretato dalla brava Taraji P.
Henson, tende ad una caratterizzazione bidimensionale e fatta spesso di tanti
cliché, che l’omologano alla fitta schiera dei personaggi visti e rivisti.
Invece in Fusco vedo molto più potenziale, e soprattutto vedo il proseguimento
dello stesso percorso di redenzione intrapreso da Harold e John.
VERDETTO
Come ho detto all’inizio
di questa recensione, un episodio che non aggiunge nulla ne alla storia ne ai
personaggi, che ci può stare nell’economia della serie, però personalmente mi
aspetto che Person of Interest faccia di meglio, imprimendo carattere e
personalità anche agli episodi che si basano completamente sulla narrazione
verticale.
voto 6
voto 6
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