Cominciai il recupero di
Person of Interest all’inizio
dell’estate, ma causa mille impegni e mille altre serie tv da recuperare,
riesco a riprenderla solo ora, a distanza di quasi quattro mesi. La prima
stagione mi aveva lasciato con una buonissima impressione, e con tante
aspettative. Felice di vedere che, almeno in questo inizio di seconda stagione,
non solo si mantiene il livello del season finale ma ci sono le premesse per
crescere ulteriormente.
Confesso che la cosa
che più mi sorprende e più apprezzo in Person
of Interest, è che, nonostante nasca come un procedurale, e viene(veniva)
mandato in onda su CBS – il network
più “vecchio” che esista, fossilizzato su un modo di fare TV appartenente ormai
al decennio passato, e che ne sta pagando il prezzo negli ultimi anni – riesce
a mixare in modo perfetto le componenti verticali ed orizzontali, e rendendo
l’evoluzione della trama orizzontale l’anima della serie, utilizzando i vari
casi verticali da supporto, e come strumento per l’approfondimento dei
personaggi.
E in questa premiere, la serie conferma questa sua grande
capacità, e invece di risolvere velocemente la situazione legata al plot
centrale – come ci si poteva aspettare – si prende i suoi tempi, e continua ad
espandere la sua mitologia introducendo nuovi personaggi e approfondendo
ulteriormente quelli vecchi.
Si ricomincia
esattamente da doveva avevamo lasciato: Root rapisce Harold, e John
cerca in tutti modi di salvarlo. E se una della cose delle quali spesso mi sono
lamentata vedendo la prima stagione, era la caratterizzazione troppo
stereotipata di John, in questo
episodio invece sono contenta di dire che ho apprezzato molto il volto umano del
nostro John, che dismette gli abiti
dell’eroe indistruttibile e mostra lo smarrimento, la preoccupazione per Harold.
In
questo modo il personaggio viene valorizzato, risulta più profondo, diventa più
facile pure empatizzare per lui, e anche l’attore può emergere molto meglio.
E viene pure valorizzato il meraviglioso legame che si è creato tra i due
protagonisti, cresciuto durante la stagione precedente, viene ancor di più
rafforzato da questa situazione difficile. E alla fine John, aiutato proprio dalla Macchina,
che
mostra quasi una parvenza di umanità, riesce a trovare le tracce di Root e Harold.
E come ho detto più
volte durante la visione della prima stagione, la serie riesce a portare avanti
la propria mitologia senza mai snaturarsi, e tendo al centro il number del giorno, e questo episodio non
fa eccezione. Perché nonostante quello è successo a Harold la Macchina
continua a sorvegliare tutti quanti e sputare numeri. E ed così che abbiamo in
scena il simatico tanto quanto strampalato Leon Tao – un truffatore e
opportunista, che si ritrova minacciato dalla Fratellanza Ariana – che regala dei momenti veramente esilaranti. A
voler trovare il pelo nell’uovo, l’unico difetto amputabile a questo episodio è
la gestione frettolosa e un po’ superficiale del caso legato a Leon, ma nulla di trascendentale o
fastidioso, visto che viene armonizzato perfettamente a tutto il resto, e si
rivela funzionale all’evoluzione del plot, e poi non solo ci assicura quel tono
leggero e divertente che io tanto apprezzo in questa serie, ma ci porta un
nuovo personaggio: Bear, un meraviglioso cane belga malinois che John adotta,
prendendolo a suon di pugni e calci ai precedenti proprietari.
Ma, a
dominare la scena sono senza dubbio Harold e Root, quest’ultima devo
dire che già mi piace un casino: psicopatica come nessun altro personaggio in
questa serie, elegante e tremendamente sexy scippa il posto di antagonista
anche ad Elias, il nostro boss preferito (del quale però aspetto ansiosamente
il ritorno, perché rimane un personaggio che può dare ancora tanto). E il
personaggio affascinante, viene interpretato alla perfezione da una bravissima
Amy Acker, che riesce a tenere la scienza senza sfigurare al fianco di Micheal Emerson.
Root e Harold sono due personaggi
opposti e allo stesso tempo affini, al punto che possono essere definiti i due
volti della stessa moneta. Geniali e brillanti, li differenzia lo scopo che per
i quali impiegano i loro talenti: Harold
ha come obiettivo finale il bene degli altri, quindi un bene puro, e ritiene la
vita un qualcosa di sacro. Root
invece, come abbiamo visto, vende le sue capacità al migliore offerente, e non
si fa alcun problema ad uccidere, però ora sembra avere un piano ben definito,
che è ancora più inquietante degli omicidi su commissione: vuole trovare la macchina, e
vuole renderla libera. Senza dubbio questo nuovo personaggio fa salire
di molto il livello della serie, anche perché ad esso e alle sue vicende si
intrecciano anche quelle del governo, o meglio di un piccolo gruppo di persone,
che
altri non sono quelli che hanno acquistato la Macchina da Nathan Ingram,
e sono proprio sulle tracce della nostra hacker psicopatica.
Questo episodio, quasi
impeccabile, è il modo migliore con il quale Person of Interest poteva dare il via ad una seconda stagione, che
chiaramente mira ad alzare il tiro. E i meravigliosi flashback confermano le
ambizioni della serie: perché oltre a mostrarci il modo in cui Harold istruisce la macchina,
mettono in mostra una cosa molto più importante – e inquietante – la Macchina
sviluppa come una specie di imprinting per il suo padrone. Imprinting
che la porta ad aggirare le sue stesse regole, fatte di fredde righe di codice,
per salvaguardare la vita del suo creatore. E non lo fa solo nel flashback e
quindi nel passato, ma anche nel presente, nel momento in cui decide di aiutare John a
trovare Harold.
VERDETTO
Se il buongiorno si
vede dal mattino, questa seconda riserva grandi cose. Un episodio ottimo, che non perde
tempo e porta avanti deciso gli eventi, ampliando la propria mitologia, e
dichiarando fin da subito di avere tante
ambizioni. Ottimo il personaggio di Root,
scombina in modo meraviglioso gli equilibri della serie, e regala grandi
momenti, in cui si alternano delirio e lucida follia, e promette in modo
inquietante sviluppi veramente interessanti, che potranno portare Person of
Interest su un altro livello.
voto 8
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