mercoledì 2 novembre 2016

The Frankenstein Chronicles 1 - La Recensione della prima stagione



Nel complesso la stagione mi è piaciuta, e ho apprezzato particolarmente gli spunti filosofici e morali che la storia offre, però nel complesso la serie risulta inferiore ai soliti standard dei period drama made in UK.

Ho apprezzato molto la riproduzione delle ambientazioni: curate e studiate ripropongono ottimamente la Londra dell’ottocento. Ancor di più ho apprezzato le atmosfere, fumose, sporche, senza imbellettamenti, si armonizzano perfettamente con la storia, anch’essa sporca e scura.
Originale – e anche vincente – il modo in cui è stato reinterpretato il romanzo Frankenstein: or, The Modern Prometheus  di Mary Shelly, intrecciando storia, scienza e fantascienza gotica, per creare una storia interessante e dalle sfumature molto affascinanti, nella quale la stessa Mary Shelly diventa una dei protagonisti.

La storia vede come protagonista l’ispettore John Marlott (interpretato da un ottimo Sean Ben), che si ritrova ad indagare sul cadavere di una ragazza ritrovato sulle sponde del fiume Tamigi. Cadavere che dall’autopsia risulta essere l’esperimento folle di un misterioso chirurgo che ha  costruito rinvenuto assemblando e cucendo le parti di più bambini, emulando così il dottor Victor Frankenstein della Shelly.

Le indagini porteranno l’ispettore Marlott ad ogni piano della società londinese dell’epoca: dai bassifondi alle sale della politica, si ritroverà ad indagare su balordi di taverna e su professori universitari. E dalle sue indagini dipenderà la sorte dell’Anatomy Act: l’atto parlamentare che consentiva ai dottori, chirurghi, professori e studenti di medicina, di fare esperimenti sui corpi dei defunti a scopo didattico e scientifico, e che si prefiggeva, almeno teoricamente, di porre fine al commercio illegale di cadaveri gestito dalle bande di profanatori corpi, che rappresentavano una vera e propria piaga sociale per l’epoca, perché oltre a profanare le tombe dei defunti appena seppelliti, molte volte per fornire cadaveri “freschi” , non esitavano ad uccidere giovani ragazzi appartenenti ai ceti più bassi della società inglese.
Ma, ancor più che svelare il mistero, a rendere interessante la storia narrata in The Frankenstein Chronicles sono i tanti spunti e le tante sfumature filosofiche, etiche e morali che essa propone. Affascinate è il modo in cui il progresso veniva visto all’epoca, come un qualcosa di malefico, e considerato quasi come un’espressione demoniaca. Ancor più affascinanti e interessanti, sono i dilemmi morali che l’evoluzione sociale e scientifica comportava: su tutte, la minaccia e il pericolo di posare la prima pietra per la costruzione di un mondo senza Dio, o ancora peggio di un mondo dove Dio era negato ai più poveri.

Cosa non convince a pieno sono i personaggi, che ad eccezion fatta del protagonista non sono bene caratterizzati. L’ispettore John Marlott, interpretato ottimamente da Sean Ben, riesce non solo a portare avanti la storia, ma anche coinvolgere lo spettatore, suscitando empatia con le tribolazioni che ha passato, anche se, anche nell’approfondire il suo personaggio alcuni passaggi sono stati fatti in modo superficiale e affrettato. Ma soprattutto il personaggio interpretato da Sean Ben ha una caratterizzazione, ha un background che delineano la sua personalità, invece per quanto riguarda gli altri sono proprio queste le cose a mancare, e per questo risultano superficiali e mono dimensionali. E questo è sintomo di un modo di scrivere i personaggi appartenete al decennio passato, a quando si punta solo ed esclusivamente sul protagonista utilizzando tutti gli altri come contorno. Si può solo sperare che nella prossima stagione gli autori correggano il tiro.

Ma nel complesso come dicevo questa prima stagione mi è piaciuta, perché nonostante sia palesemente inferiore sia a livello tecnico sia a livello narrativo allo standard delle produzioni UK – ma a fare la differenza è la mano della BBC che ormai è maestra nella produzione dei period drama – rimane sempre ad un livello ottimo, offrendo una riproduzione estremamente fedele, e anche molto realista del contesto e della realtà storica, curando quei particolari che in questo genere di serie fanno la differenza. E anche i contenuti sono molto interessanti, e senza dubbio tra i pregi di questa serie, rientra il modo originale in cui è stato reinterpretata l’opera di Mary Shelly. Il ritmo della narrazione alle volte esageratamente lento porta a momenti di stasi, caratterizzati da ripetizioni superficiali e ridondanti, ma riesce sempre a mantenere alto l’interesse, perché, pur non acquisendo un ritmo incalzante, entra alla perfezione nell’animo del racconto (cosa che non ha fatto e doveva fare invece con i personaggi) evidenziandone tutte le sfumature, rendendo la storia solida e complessa allo stesso tempo, e privandola completamente di qualsiasi buonismo stucchevole. E anche il modo in cui viene sviluppata la storia, pur utilizzando un’impalcatura narrativa consolidata e quindi poco originale, riesce a tenere sempre alto il livello di tensione, rendendo il vero “colpevole” difficile da individuare. Ma il colpo di genio arriva alla conclusione, con un finale completamente inaspettato e sorprendente, che va a cambiare completamente volto e natura alla serie.

VERDETTO

Forse mi aspettavo un pochino di più, visto la mia esperienza con i period drama sfornati dalla televisione britannica, ma comunque come ho più volte detto la serie mi è piaciuta, e questa stagione è promossa. La storia non poteva affascinarmi, amando a dismisura il genere, ma mi ha convinto e soddisfatto soprattutto con l’inaspettato finale, che cambia completamente le carte in tavola.

voto 7,5

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