Questo episodio è una
conferma. È una conferma sulle ambizioni che ha la serie. È una conferma sulla
qualità della storia. È una conferma sulla solidità dell’amicizia tra John e
Harold.
Il precedente episodio
mi era piaciuto, questo mi ha convinta, mettendo in mostra la portata e le
ambiizoni della storia. E soprattutto, la serie dimostra l’intenzione di
sottolineare l’importanza di tutti i suoi personaggi, perché se in quella
precedente, quello incisivo e insostituibile si è dimostrato solamente Harold, in questi due episodi John
assume lo spessore e la rilevanza, che gli sono mancati per lunghi
tratti nella stagione passata. E il personaggio assume spessore grazie ad una combinazione
vincente e pensata di elementi, che hanno portato da un lato a valorizzare il
lato umano, e quello più apprezzabile, del personaggio, e dall’altro hanno cementato
meravigliosamente l’amicizia tra i nostri due protagonisti. Con John che non solo salva Harold, ma diventa il contrappunto, la
smentita alla teoria di Root: John è la dimostrazione che non tutta l’umanità
è bad code.
E fin da subito, anche
il nostro simpatico detective Fusco viene investito di maggiore
importanza, coinvolgendolo in una missione fondamentale allo sviluppo della
mitologia, ma nel farlo, il personaggio apporta sempre alla serie quei toni
divertenti e leggeri che caratterizzano, in modo vincente, Person of Interest. Chi invece è sembrata male inquadrate nelle
vicende è la Carter: fa da partner a John
nella ricerca di Root, ma in modo
superfluo, senza essere incisiva o determinante in nessun modo, perché chiaramente
quello che il nostro Batman in giacca fa, lo avrebbe potuto tranquillamente
fare anche senza di lei. E questo forse nasce dal fatto che, la
Carter, è legata a filo doppio alle vicende riguardante l’altro filone
narrativo, e cioè quello su Elias
e la criminalità newyorkese in generale, e male si adatta invece alle vicende
legate alla trama di Root e della Macchina.
La narrazione dell’episodio,
viene coadiuvata dagli immancabili flashback,
che Person of Interst ha dimostrato di
saper usare nelle giuste dosi, evitando, almeno fino a questo punto, di
appesantire e rendere macchinosa la storia con flashback prolissi che finiscono inevitabilmente per essere
ridondanti. E anche se prevedibile, fin dall’inizio, l’epilogo del flashback su Root bambina, perché viene utilizzato un espediente narrativo
diventato ormai una specie di marchio di fabbrica della serie, non sminuisce il
contribuito che apporta alla storia. Da una parte accompagna in parallelo le
indagini di John in Texas, dall’altra
delinea il personaggio di Root, indicandone
il punto di rottura: la perdita della migliore amica, in un modo triste
e macabro, segna il suo modo di vedere il mondo e di considerare le persone, e
rappresenta la nascita di questo meraviglioso antagonista, caratterizzato da un’arroganza
che è pari solo al suo talento e alla sua intelligenza.

E pur se la vicenda che ha animato gli ultimi
tre episodio della serie è giunta alla sua conclusione, e si preannuncia il
ritorno a ritmi meno intensi, dove troverà maggior spazio il lato procedurale, sono
state gettate le basi per un’evoluzione non solo interessante ma anche
importante della storia, dove le varie trame portate avanti fino ad ora
andranno ad intrecciarsi. E cosi, la mitologia di Person of Interest, con il gruppo
governativo e Root che si
alternano nei ruoli di preda e predatori, si espande ulteriormente, rendendo più
complesse e articolate le vicende, e il personaggio di Root acquisisce ancor più rilevanza e spessore.
Come ancora
più spessore, acquisisce l’amicizia tra John e Harold, che rappresenta uno
dei punti evolutivi più intensi della serie: iniziato come una sorta di
partnership lavorativa, il loro legame è diventano qualcosa di forte, e che
tiene entrambi i personaggi ancorati alla vita, e in esso ritrovano uno scopo,
e una via per la redenzione. E a consacrare il rapporto ci pensa la nuova
aggiunta, Bear - il cane adottato da John
e ora affidato ad Harold - non solo
porterà inevitabilmente momenti di puro delirio, ma rappresenta un vero e
proprio punto fermo per i due, perchè somiglia tanto alle fondamenta su cui poggia la nascita di una famiglia, cosa che a entrambi, fino a questo momento, è mancata.
Rimangono certo anche qualche
stonatura e qualche cosa fuori posto, che in un episodio cosi intenso e ben
congegnato spiccano ancora di più: come le scazzottate alla Bud Spencer, che
oltre ad evidenziare una mancanza di maestria in queste situazioni, non
aggiungono altro alla serie, perché oltre ad esser realizzate in modo scadente,
nascono da pretesti forzati che le fanno sembrare messe il più delle volte solo
per fare caciare, e trascinare la serie in acuti di trash evitabilissimi. E
poi, sempre in relazione alla cura generale, fa storcere un po’ il naso il modo
in cui John riesce a trovare la
locazione finale di Harold e Root, perché va a un po’ a contraddire la caratterizzazione
della stessa Root.
VERDETTO
Si, come ho appena
detto ci sono alcune stonature, ma al netto di tutto è un ottimo episodio,
tra i migliori della serie fino ad ora. Ottimo non solo nella realizzazione, che
valorizza i vari personaggi, e fa uso di una narrazione composta e
ineccepibile, dove Person of Interest
dimostra ancora una volta di sapere dosare in modo perfetto i flashback e
inserirli nei momenti più opporutni, questo episodio soprattutto espande
la mitologia interna, e alza, non di poco, il tiro, grazie ad una
storia estremamente affascinante che si dipana su più trame, e grazie al
personaggio di Root che diventa ancor
più profondo e complesso.
Questo episodio è una conferma al fatto che la
serie è decisa a salire di livello in questa stagione.
voto 8,5
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