giovedì 13 ottobre 2016

Person of Interest 1 - La recensione della prima stagione



Mi è piaciuta! Una buona prima stagione! Introduttiva, molto introduttiva, e per questo più volte è risultata un poco lenta, soprattutto agli inizi. Ma, si è presa i suoi tempi e ha gettato le basi non solo per una storia interessante, ma anche per la costruzione di un mondo interno, con una propria storia, con dei personaggi che lo popolano e delle regole che lo governano.



E mentre gettava le basi, presentava i personaggi e metteva a moto le dinamiche, è riuscita a proporre anche molti episodi interessanti e di qualità, su tutti spiccano: Witness: il punto di svolta, l'episodio nel quale la serie mostra di avere delle ambizioni, e di voler andare oltre lo schema procedurale e il classico episodio verticale. Flesh and Blood: potente come nessun altro, eccita e soddisfa e ci regala un finale da brividi, poetico. Many Happy Returns: nonostante alcune scelte narrative discutibili, è di una grandissima intensità emotiva, e la costruzione veramente geniale ed elegante. No Good Deed: consacra il personaggio di Harold, ci offre la migliore prestazione di Emerson, e rivela tutto il potenziale che la storia ha. Firewall: Il migliore della stagione! Costruito alla perfezione, caratterizzato da un susseguirsi di colpi di scena che tengono incollati allo schermo, e si concludono con l'introduzione del Moriarty di Harold, lasciando con un cliffhanger da paura.

Ma soprattutto in questa stagione la serie ha dimostrato di avere un progetto ambizioso. Un progetto ambizioso e anche solido e pensato, dove ogni cosa viene fatta con cognizione di causa, e anche le cose che a prima vista sembrano insignificanti e messe tanto per riempire minuti, si rivelano indispensabili per la ricostruzione della big picture. E proprio la cura dei dettagli, in particolar modo di quelli che servono alla caratterizzazione dei personaggi e degli eventi, è uno dei pregi della serie.
Un altro pregio è la capacità che ha avuto di costruire un plot centrale, e tante altre sottotrame a sorreggerlo, senza mai tradire la propria natura. Perché va sempre ricordato che la serie nasce come procedurale, e mantenendo questo struttura (che oggi è considerata dai più il male assoluto della serialità televisiva) è riuscita a raccontare una storia composta e complessa, dando vita ad una continuità che ha caratterizzato ogni episodio. Tutto comincia sempre dal number e attorno ad esso si costruisce l’episodio, si dipanano le trame, evolvono i personaggio. E proprio in questa struttura Person of Interest ha trovato non solo il tuo tratto distintivo, ma anche la sua identità seriale, riuscendo a mixare magistralmente e come poche altre serie(mi viene in mente solo The Good Wife) trama verticale e orizzontale.

Ottima e promettente è la brezza orwelliana che sembra avvolgere l’intera serie, e viste le tematiche trattate, può trasformarsi da un episodio all’altro in un uragano. E parlando delle atmosfere della serie, ben caratterizzata, senza stereotipi o cliché, la paura post undici settembre e del terrorismo in generale. Ed è proprio da questo, dalla minaccia terroristica, che la serie trae la sua linfa vitale, e l’undici settembre ha fatto sia da miccia che da innesco all’intera storia. È l’undici settembre ad aver cambiato drasticamente le vite dei nostri personaggi, e dato vita alla Macchina, che a tutti gli effetti è il terzo protagonista della serie, ed è sempre l’undici settembre che porta le vite di Harold e John a incrociarsi.
Ecco, queste sicuramente non sono tematiche molto originali, ancor meno lo sembrano per chi come me inizia la serie a cinque anni dalla sua nascita, però nel modo in cui sono state trattate ed utilizzate risalta la bravura e perché no anche l’originalità di Nolan, che è riuscito a creare una storia senza cadere nella retorica spicciola e nella banalità.

Buona parte del merito della riuscita di questa stagione poi va anche ai personaggi, protagonisti, co-protagonisti e antagonisti. Su tutti, senza ombra di dubbio, domina Harold Finch: scritto e caratterizzato alla perfezione, complesso, ben approfondito ma allo stesso tempo rimane ancora avvolto nei suoi misteri, e come il miele per le api, attira lo spettatore, generando un grande interesse per la sua storia. E Michael Emerson nel dargli vita ha fatto un grandissimo lavoro, offrendo alcune prestazioni veramente eccezionali, e proprio vedendolo all’opera in questa serie l’ho molto rivalutato, perché fino ad ora, associandolo unicamente al volto di Ben Linus, lo consideravo proprio come Lost: molto sopravvalutato. Un buon lavoro, soprattutto negli ultimi episodi della stagione, è stato fatto anche con il personaggio del detective Lionel Fusco, che partito come macchietta – anche nella caratterizzazione era lo stereotipo del classico poliziotto americano poco brillante – ha acquisito spessore e drammaticità, diventando un pezzo importante della scacchiera.
 Ma nei personaggi principali sono da ritrovare anche alcuni dei difetti e dei limiti della serie: partendo proprio da John Reese l’altro protagonista. Che non fraintendetemi, a me piace, è pure simpatico, e il suo lavoro lo fa e tra alti e bassi ha retto, per ora. E per quanto monolitico, apprezzo pure Jim Caviezel che lo interpreta, però sul lungo periodo rischia di crearsi un divario enorme tra i due protagonisti: John dopo 23puntate è stato quasi sviscerato del tutto, e quello che non è stato detto lo si può facilmente intuire, e questo stona, e non poco, con la complessità di Harold. Come stona la sua costruzione datata, fatta spesso di stereotipi e cliché, che lo fanno sembrare il solito Terminator indistruttibile bi-dimensione, e impossibile da prendere sul serio. Ma, le possibilità di migliorare ci sono, anzi, lo abbiamo già visto che se sfruttato come nel season finale o nel ventunesimo episodio, quello a lui dedicato, il personaggio acquisisce spessore su tutti i fronti. Ecco, serve che vengano bilanciate meglio le due anime che caratterizzano John: l’uomo e il Terminator. E spero anche che con la prossima stagione diventi più determinate e fondamentale, nel senso che: Person of Interest senza Harold non lo si può concepire, senza John, per come spesso viene mostrato, può andare avanti tranquillamente, un eroe indistruttibile che picchia senza sosta vale l’altro. Il nostro buon John, deve trovare una propria identità, e distaccarsi dallo stereotipo del solito eroe. Ma nutro grande fiducia! Per come si sono messe le cose alla conclusione della prima stagione è fattibilissimo!
Un discorso analogo si può fare per la detective Carter: anche il suo è un personaggio nato già vecchio, e per quanto l’attrice (Taraji P. Henson) sia brava nell’interpretarla, rimane anonima, e di cliché spesso vive e parla. E la vedo anche mal amalgamata nel gruppo, o meglio, non ha ancora un posto suo: ora è sovrapposta alla figura di John, ora a quella di Finch, spero che nella prossima stagione riesca a trovare la sua quadratura. Poi personalmente, i personaggi saccenti, pronti a fare la morale a tutti quanti, col piglio da vecchia maestrina zitella e inacidita, con l’intima convinzione di essere moralmente superiore a tutti quanti, non tanto mi piacciono. Ecco, forse il suo personaggio è quello che meno mi piace nella serie.
Eccezionali invece sono gli antagonisti! Perché tra Carl Elias, il pacato ma spietato e determinato boss mafioso, Kara Stanton la perfetta vedova nera che è in cerca di vendetta e Root la nemesi di Harold, intelligente, psicopatica e conturbante come una vera femme fatale, c’è solo l’imbarazzo della scelta! E tutti e tre sembrano avere una storia che è tutta ancora da raccontare, e non bastasse questa tripletta infernale, c’è ancora l’HR – l’organizzazione di poliziotti corrotti – in circolazione. Insomma, il materiale per una storia tesa ed esplosiva non manca!

Su cosa si deve lavorare e pure tanto è la costruzione delle scene di lotta e di sparatorie. Sono realizzate con superficialità, e tra proiettili che appaiono dal nulla per conficcarsi nel punto giusto, giubbotti anti proiettili che alla volte funziona alle volte no, risse uno vs centomila, corpo a corpo con gli stunt che sembrano di plastica, rasentano il ridicolo e risultano surreali, e non nel senso buono del termine. E visto che la serie sfrutta tanto queste situazione, al punto da renderle un tratto caratteristico, spero che nella prossima stagione vengano realizzate con più cura, perché la giustificazione “sono scene fumettistiche” non è accettabile, perché non sono fumettistiche o fumettose, sono fatte male! Serve un lavoro di controfigure migliore, e soprattutto meno esagerazioni, perché quando le risorse su questo fronte sono limitate, più le scene vengono mantenute pulite e semplici più riescono, se si cerca di strafare invece si scade nel trash, e la serie nel corso di questa stagione ci è scaduta più volte.

VERDETTO

All’inizio sembra solo una serie piacevole da guardare, ma di episodio in episodio cresce e parecchio, acquisendo spessore e importanza. La storia è intrigante, complessa al punto giusto ma mai pesante, e questo grazie anche alla capacità che ha di mixare perfettamente humor e drama. Con il tempo acquisisce anche intensità, regalando episodi che incollano letteralmente allo schermo caratterizzati da ottimi plot twist. Ottimi i personaggi, ma su tutti, buoni e cattivi, spicca Harold, che insieme alla Macchina sono il cuore e anche la spina dorsale della serie, è rappresentano una fonte pressoché inesauribile di spunti e idee. Rimangono della sbavature, forzature da limare, situazioni e personaggi da far quadrare,  ma nel complesso funziona tutto e pure bene.
Alla fine ha mantenuto le promesse! Dal settimo episodio in poi è stato un crescendo, non intenso, ma costante, e personalmente non mi aspettavo (e non credevo) salisse cosi tanto di livello quando ho iniziato il recupero.

Stagione e serie promesse! Felice di averla cominciata!
Voto 7,5

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